Come i brand nativi digitali hanno risposto alla pandemia (e cosa aspettarci dal futuro del retail tradizionale)

Dall’inizio del 2020, in concomitanza con l’emergenza portata dalla situazione sanitaria, abbiamo assistito ad una importante accelerazione nel passaggio al digitale da parte delle aziende. 

Chi stava già utilizzando i canali digitali ma senza troppa enfasi, si è ritrovato da un giorno all’altro a riversare tutti i propri sforzi di marketing & sales su quel fronte, non senza difficoltà. Accanto ad essi, altre realtà che fin dall’inizio avevano già incentrato la propria attività sul digitale, e che sono quindi state più avvantaggiate. 

Infatti, se da un lato il passaggio all’online è stato più semplice, dall’altro non sono mancate le difficoltà nemmeno per i DNVB, i brand nativi digitali.

Qual è la realtà che meglio è riuscita a contrastare gli effetti negativi della pandemia e che potrebbe rappresentare il modello del futuro?

Come per sempre quando affrontiamo temi complessi la risposta non è così netta e semplice, ma ci dà spazio per riflettere su come entrambe le realtà, tradizionali e native digitali, possano trarre insegnamenti utili dalla propria controparte. 

DNVB e D2C: facciamo chiarezza

Innanzitutto riprendiamo le fila del discorso iniziato qualche tempo fa: che cos’è un DNVB? Un brand verticale nativo digitale è una realtà nata e cresciuta online, che detiene il controllo end-to-end di tutta la filiera, dalla produzione alla distribuzione.

Il metodo con cui queste realtà vendono è il cosiddetto direct to consumer (DtoC o D2C). Non ci sono intermediari o rivenditori, il cliente acquista direttamente da chi produce. Questo modello di distribuzione permette di tagliare i costi e avere un controllo più forte sulla parte finale del processo.

Tutti i DNVB sono D2C, ma non tutti i D2C sono DNVB . Questo perchè alcuni brand noti che vendono direttamente al consumatore si appoggiano anche ad altri rivenditori – pensiamo ai brand di calzature sportive che hanno i propri negozi monomarca ma che vendono anche attraverso le catene di store multimarca – e perchè non sono nati sul digitale, ma addirittura ben prima che internet esistesse!

L’impatto del Covid19 sui brand D2C

Da un’indagine condotta dalla piattaforma di market intelligence PipeCandy e rilanciata anche da TechCrunch, possiamo vedere, senza troppe sorprese, che i brand D2C hanno attutito molto meglio l’impatto della pandemia rispetto ai retailer tradizionali.

L’indagine ha preso in esame circa 1000 aziende D2C attive negli USA e messo a confronto la variazione nelle vendite dei retailer (dal U.S. Census Bureau) con la variazione di traffico registrata dai siti di questi 1000 brand. 

Fonte: PipeCandy

L’indagine si concentra anche sulla percentuale media di aumento del traffico rispetto ai tassi di crescita medi in diversi periodi dell’anno precedente, tra cui il picco più alto registrato nel 2019.

Fonte: PipeCandy

Gli unici due settori che ad aprile 2020 sono riusciti a superare il picco del 2019 sono stati fitness e animali domestici.

Ma non è stato tutto rose e fiori per i DNVB nel 2020.

Anche se i brand verticali nativi digitali non hanno subito la chiusura di massa che ha colpito i retailer americani tradizionali, hanno dovuto anch’essi fronteggiare alcuni ostacoli.

Innanzitutto il fisiologico calo dei consumi che avviene a seguito del diffondersi di una cattiva notizia che può minacciare la sicurezza e il benessere delle persone. In questo caso specifico, la pandemia. Si può pensare che il fatto di dover passare molto tempo in casa abbia spinto le persone a investire di più per la propria abitazione, ma l’aumento della disoccupazione e la mancanza di entrate sicure ha portato i consumatori ad essere molto più cauti con gli acquisti, soprattutto quando si tratta di spendere cifre più importanti.

L’altra annosa questione è data dalla liquidità aziendale, cioè la disponibilità di denaro contante per far fronte a determinati oneri finanziari a breve termine.

While consumers are generally spending less across the industry when it comes to non-essential items, there’s one thing that better positions some companies against the impacts of COVID-19 than others: how much cash they have available.

Retail Dive “What the coronavirus means for DTC brands

Tecnicamente, i costi fissi associati al mantenimento dei negozi fisici e al personale del punto vendita posizionano i DNVB meglio rispetto ai competitor tradizionali, i cosiddetti retailer brick-and-mortar (letteralmente mattoni e malta). Tuttavia, non sempre i DNVB possono vantare lo stesso livello di stabilità finanziaria dei competitor necessaria per far fronte agli imprevisti. Per questo la loro sopravvivenza non è così scontata.

Diverse realtà native digitali hanno dovuto tagliare i costi, primo fra tutti quello sull’advertising. E meno esposizione si traduce in ancor meno vendite. Senza contare i licenziamenti o la chiusura dei punti vendita fisici o dei pop up store aperti.

Molti DNVB in America e in Europa, pur essendo nati e cresciuti rimanendo al 100% digitali, hanno iniziato ad affacciarsi al mondo del retail tradizionale aprendo i propri punti vendita fisici in America ed Europa, Italia compresa. 

“Storefronts grant consumers those touch-and-feel experiences, like trying on apparel, but they also give brands the opportunity to form relationships with their customer base.”

Retail Dive “How the coronavirus altered DTC’s relationship with brick and mortar

Il negozio fisico offre al cliente quell’esperienza di acquisto che l’ecommerce non può dare. Permette ai clienti di toccare con mano gli oggetti in vendita, e ai brand di instaurare relazioni più strette con la customer base e aumentare i margini. Lampante è l’esempio del brand di abbigliamento Everlane, che avevamo già citato nel primo articolo sui DNVB

Se nel 2012 il CEO dell’azienda aveva dichiarato che la società avrebbe chiuso piuttosto che  passare al retail, nel 2017 il brand ha aperto il suo primo negozio fisico a New York. La prima motivazione data era stata quella di voler soddisfare la necessità della clientela di toccare con mano i prodotti, ma in tempi più recenti lo stesso CEO di Everlane ha ammesso che, di base, nessuna azienda completamente basata sull’online è realmente profittevole. Una difficoltà dovuta ai costi elevati di acquisizione dei clienti attraverso Facebook e Instagram, e alla concorrenza crescente nel mondo dell’abbigliamento sostenibile, di cui Everlane non è più l’unica realtà.

Un fattore interessante che ci porta ad aprire uno spiraglio sul futuro dei DNVB nel post pandemia.

Cosa aspettarci dal futuro: il confine tra online e offline è sempre più labile

All’estero come in Italia, abbiamo assistito ad una contaminazione tra realtà online e offline, dove l’uno entra nel territorio dell’altro per ampliare la propria customer base e scalare il business.

Da un lato abbiamo i DNVB che hanno aperto punti vendita proprietari o si sono appoggiati a rivenditori: pensiamo ad esempio a Velasca, il brand italiano di calzature da uomo artigianali che dopo aver sfondato sul web ha aperto diversi punti vendita nelle principali città italiane ed europee. Oppure Frenzlauer, il marchio toscano di borse in pelle (anch’esse artigianali) che dopo oltre cinque anni di sola vendita tramite l’ecommerce, si è inserito gradualmente nel retail tradizionale, dapprima con l’apertura di un pop-up store e poi con la distribuzione a livello mondiale attraverso una rete di rivenditori selezionati.

Dall’altro lato, troviamo i brand tradizionali che si sono trovati a fronteggiare un calo nella pedonalizzazione all’interno degli store fisici e, per questo, hanno dovuto trovare alternative per attutire il colpo e riuscire non solo a portare le persone ad acquistare negli store online, ma a mantenere un filo diretto con il pubblico.

Pensiamo alle sfilate di moda in diretta streaming o all’utilizzo di Instagram per pubblicizzare i prodotti da parte dei brand di cosmetica. 

La spinta all’adozione e al potenziamento del digitale come canale di marketing, comunicazione e vendita non è però solo una questione di sopravvivenza alla pandemia: è l’occasione per evolvere verso una nuova dimensione più in linea con le esigenze e le aspettative dei clienti che hanno già intravisto o addirittura testato l’esperienza di acquisto offerta dai DNVB.

Entrambe le realtà possono trarre vantaggi importanti da queste incursioni nel campo di gioco del “rivale”: con l’apertura di negozi fisici e le collaborazioni con gruppi affermati i DNVB hanno la possibilità di accedere ad un maggior numero di persone, aggirare l’ostacolo della concorrenza online e abbassare i costi di acquisizione online. Dall’altro lato, i retailer tradizionali che instaurano delle partnership o che adottano certi paradigmi fino a poco tempo fa prerogativa dei brand nativi digitali, possono godere dei vantaggi dati dal digitale come la possibilità di instaurare un rapporto più stretto con il proprio pubblico e di attrarre nuove fasce di utenti. 

Un altro interessante fenomeno nel processo di digitalizzazione delle PMI italiane e di transizione alla nuova normalità nell’era post-Covid, che ci insegna ancora una volta come la capacità di adattamento ai nuovi equilibri sia la chiave per la sopravvivenza.

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Daniele De Nobili

Daniele è Backend Developer per Meta Line. Daniele gestisce la parte di programmazione lato server, il “dietro le quinte” dei siti web progettati da Meta Line per garantire sicurezza, stabilità ed efficienza delle infrastrutture alla base di ogni sito.