Hai mai pensato a quante ricerche su Internet fanno le persone ogni giorno?
Anche se Google non divulga dati precisi, Hubspot stima che il motore di ricerca ne elabori circa 63.000 ogni secondo.
Ognuna di queste parte da un search intent, o intento di ricerca. Come suggerisce il nome, non è altro che la motivazione che spinge l’utente a digitare proprio quelle parole.
Dietro al search intent si nascondono dunque desideri, bisogni e opinioni. Tutte informazioni che ti sarebbero utilissime per capire meglio i tuoi clienti, potenziali o acquisiti, creare contenuti più interessanti per loro e annunci pubblicitari che siano davvero efficaci.
È possibile capire il search intent? E come si fa?
Tipi di search intent
Per prima cosa, devi sapere che non esiste un solo tipo di search intent.
C’è infatti una grande differenza tra digitare su Google “migliori casse per pc” e “come scegliere le casse per pc”. Queste due ricerche raccontano esigenze diverse — nel primo caso prodotti, nel secondo informazioni — ma anche una diversa propensione all’acquisto, più marcata nel primo caso, meno nel secondo.
Di search intent ne esistono almeno quattro tipi:
- informativi: quando l’utente cerca informazioni su un argomento e usa keyword generiche (“capitale del Paraguay”, “come aumentare muscoli”, “ricetta carbonara”);
- di navigazione: l’utente sa quale sito vuole visitare e ne digita il dominio o il nome nella barra di ricerca (“metaline.it”);
- commerciali: l’utente vuole valutare un servizio o prodotto, vuole confrontare marchi, trovare eventuali offerte e capire quale sia la soluzione migliore (“iPhone o Samsung”, “migliore panettone”);
- transazionali: l’utente ha uno scopo preciso, come acquistare un prodotto, scaricare un file o prenotare un servizio (“dentista Treviso”, “piano allenamento basket pdf”).
Potresti erroneamente credere che le ultime due categorie siano più importanti perché più vicine alla vendita. In realtà, tutte hanno pari valore perché ognuna fotografa un punto diverso del percorso d’acquisto dell’utente.
Intento di ricerca e percorso d’acquisto
Prima di arrivare a comprare un prodotto/servizio, ognuno di noi passa attraverso diverse fasi, che insieme prendono il nome di percorso d’acquisto o Buyer’s Journey.
Immaginiamo di comprare un paio di scarpe da corsa e ripercorriamo il nostro Buyer’s Journey.
Un giorno decidiamo di iniziare a correre.
In un primo momento lo facciamo con le nostre vecchie scarpe da ginnastica, ma i dolori alle ginocchia e una breve ricerca sulle cause su Google ci fanno velocemente capire di aver bisogno di scarpe più adatte.
Non sapendone granché, indaghiamo e scopriamo che esistono tanti tipi di scarpe, in base al tipo di corsa, al terreno e al piede. Allora, approfondiamo su forum dedicati e svolgiamo ricerche più dettagliate, finché non capiamo che i modelli più adatti a noi sono tre.
A quel punto, andiamo in un paio di negozi di articoli sportivi, proviamo i 3 modelli e dopo qualche giorno prendiamo una decisione e acquistiamo quello giusto per noi.
Tradizionalmente, il percorso d’acquisto si divide in 3 fasi:
- consapevolezza (awareness), quando ci rendiamo conto di avere un bisogno;
- considerazione (consideration), quando indaghiamo e individuiamo le soluzioni alternative;
- decisione (decision), quando scegliamo il prodotto/servizio.
Raramente però questo processo è così lineare….
Il Messy Middle
Il processo d’acquisto è per lo più caotico e imprevedibile, come spiega Google con la teoria del Messy Middle.
Secondo il Messy Middle, nel percorso d’acquisto ci sono due sole certezze:
- un primo trigger (stimolo) che avvicina il potenziale cliente all’acquisto,
- l’acquisto vero e proprio.
In mezzo c’è un numero imprecisato di touch point, punti di contatto tra il potenziale cliente e il marchio o il prodotto.
È in questa zona nebulosa che l’acquirente usa il web per trovare informazioni e confrontare prezzi, prodotti, aziende o qualsiasi altra cosa ritenga opportuna. È un continuo alternarsi di fasi esplorative, in cui aggiunge elementi, e fasi valutative, in cui riesamina ed elimina, fino ad arrivare alla decisione d’acquisto finale.
Per approfondire il Messy Middle, leggi l’articolo “Dall’AIDA al Messy Middle. come sono cambiati i modelli di marketing e cosa possiamo imparare”.
Da un lato, questa imprevedibilità può far credere che intercettare il search intent degli utenti sia impossibile. Dall’altro, l’uso massiccio di internet da parte loro ci offre la soluzione.
Keyword e search intent
Il search intent si esprime con parole chiave che l’utente digita nella barra di ricerca. Ogni parola chiave suggerisce un desiderio o un bisogno che Google riesce a interpretare.
Come fa? Grazie a un algoritmo che va oltre le singole parole digitate e considera anche altri elementi, come la geolocalizzazione, altri termini o i trend del momento.
Il motore di ricerca riesce così a capire se in una pagina web ci sono i contenuti che l’utente cerca, al di là della presenza e della densità della singola parola chiave.
Ti diamo subito un esempio.
Durante l’estate 2021 ci sono stati i campionati europei di calcio.
Se all’epoca avessimo cercato “Barella” su Google, la SERP ci avrebbe riportato più notizie sul calciatore della nostra nazionale, Nicolò Barella, che informazioni sul lettino per il trasporto dei malati. Questo perché Google avrebbe tenuto conto di cosa stava succedendo e avrebbe ritenuto più probabile un nostro interesse verso il mondo del calcio.
Individuare il search intent non significa allora individuare le singole keyword, ma l’intero topic, ovvero l’ecosistema di termini correlati che supportano e arricchiscono il tema della parola chiave.
Questo è il compito della SEO semantica.
SEO semantica, contenuti e search intent
Le analisi di SEO semantica permettono di scoprire tutte le keyword correlate a un determinato tema. Poiché le keyword sono le medesime utilizzate dagli utenti nelle loro ricerche, ti serviranno per creare contenuti capaci di soddisfare il loro search intent.
Darai loro esattamente ciò che cercano, creando un touch point per ogni contenuto che creerai, indirizzando verso di te il loro percorso di acquisto.
Non male, vero?
Se a ciò aggiungi delle campagne pubblicitarie per dare maggiore visibilità ai tuoi contenuti, la tua capacità di influenzare il loro percorso sarà ancor maggiore.
Qui però dobbiamo fare una precisazione.
Contenuti organici e contenuti a pagamento
Un utente che digita una ricerca su Google non fa alcuna differenza tra gli annunci a pagamento, che si trovano nelle prime posizioni, e i risultati organici. Ciò che gli interessa è trovare la risposta alla sua ricerca.
Hai quindi due strumenti a tua disposizione per intercettare il search intent:
- la SEO per favorire il posizionamento naturale del tuo contenuto,
- le campagne a pagamento su Google Ads.
Il primo è decisamente indispensabile. Il secondo ti offre notevoli vantaggi:
- ti piazza subito in testa ai risultati della SERP senza dover aspettare,
- ti offre strumenti per l’analisi delle keyword che puoi usare per migliorare il contenuto,
- puoi sperimentare annunci diversi e vedere immediatamente cosa funziona e cosa no.
Combinarli ti permette di avere più contenuti in SERP e aumentare quindi le probabilità di farti cliccare.
In ogni caso, entrambi hanno bisogno di una buona analisi di SEO semantica.
SEO semantica, il metodo Meta Line
Abbiamo già dedicato un articolo e un webinar al metodo di analisi semantica di Meta Line. Qui di seguito ti diamo una breve panoramica dei 4 step principali.
- Scelta delle keyword
Individuata una keyword principale sufficientemente competitiva andiamo a esplorare il suo campo semantico, ovvero tutte le altre keyword connesse.
Ovviamente, non tutte queste ultime saranno davvero capaci di supportare la principale, pertanto dovremo selezionare quelle più utili agli obiettivi.
Queste keyword potranno essere utilizzate per creare testi, articoli, guide o altri contenuti.
- Architettura del sito
Una volta eseguita l’analisi delle keyword procediamo col creare (o ripensare) l’alberatura del sito in modo che Google comprenda facilmente quali siano le pagine più importanti.
- Valutazione delle posizioni pregresse
Se il sito è già online, verifichiamo che sia posizionato per alcune delle parole chiavi individuate nella fase di analisi.
Se il sito nella sua interezza o singole pagine fossero già posizionate, non avrebbe senso creare nuovi contenuti per quelle parole chiavi. Molto meglio sarebbe ottimizzare il contenuto già esistente e migliorare il resto.
- Accorpamento delle parole chiavi
Le parole chiave individuate durante l’analisi vanno ora messe in ordine per capire quanti e quali contenuti produrre. Alcune keyword potrebbero infatti condividere il medesimo search intent, quindi possono essere usate nel medesimo contenuto, senza doverne fare di separati.
Se desideri applicare il metodo Meta Line o capire come individuare e intercettare il search intent dei tuoi clienti, contattaci!
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